Ancora difficoltà nella vendita dell’ultimo dei quattro stabilimenti Stefana oggetto di concordato preventivo, quello di via Bologna a Nave con 186 dipendenti che da settimane vivono con il fiato sospeso. Ieri scadeva il bando per gli eventuali rilanci rispetto all’offerta di 20,5 milioni della turco-tedesca Ekinci International. Nonostante la mancanza di rilanci il liquidatore non ha potuto procedere all’assegnazione perché il gruppo siderurgico straniero – secondo quanto ha dichiarato l’avvocato che lo rappresenta – ha avuto difficoltà con le banche a causa del Ramadan e non è riuscito a versare la cauzione del 20 per cento richiesta dalla procedura. Il liquidatore ha accettato la domanda di rinvio fino a metà mese per l’anticipo, ma sulla richiesta di rateizzazione dell’importo restante ha chiesto una fideiussione su banca italiana, fissando a fine mese il termine ultimo per chiudere l’operazione.
Intanto non si sblocca il rimpallo di responsabilità tra i Ghidini, formalmente ancora titolari di ciò che resta del Gruppo Stefana, e la procedura giudiziale in merito alla domanda di cassa integrazione per i lavoratori che da inizio giugno sono privi di ammortizzatori sociali: nessuno dei due vuole restare con il cerino in mano e correre il rischio – se la domanda fosse respinta – di provvedere direttamente al salario degli addetti.
La soluzione proposta dal liquidatore – se non bastassero le ferie maturate ricorre al Tfr – è stata bocciata dalla Fim Cisl di Brescia: “Ii soldi del Tfr sono dei lavoratori, non dell’azienda o del liquidatore e per utilizzarli servirebbe l’autorizzazione di ogni singolo lavoratore. Di più: le ferie garantiscono il pagamento dei contributi pensionistici, il Tfr no”.