Oggi pomeriggio nel Cinema di Borgo Trento la Cisl ha promosso, in collaborazione con il Consiglio di Quartiere e il Circolo Acli, la proiezione del docufilm “La salvatrice”, frutto di una approfondita ricerca giornalistica di Paolo Tessadri nel cinquantesimo del golpe militare in Cile.
Un lavoro cinematografico prodotto dalla Fondazione del Museo Trentino che ha offerto l’opportunità di ricordare i fatti attraverso una storia davvero straordinaria, quella di Valeria Valentin, una suora che mise in salvo centinaia di perseguitati politici.
Una storia che ci riguarda, come Brescia, come sindacato, come Cisl
“Una storia che ne contiene tante altre – ha affermato introducendo il pomeriggio il segretario provinciale della Cisl Alberto Pluda – quella di una presa di posizione del nostro Paese, che appoggiò segretamente l’azione della Valentin, di cui andare orgogliosi ancora oggi; quella della chiesa cilena che organizzò una rete clandestina per mettere in salvo i perseguitati politici; quella della resistenza in nome della giustizia e della libertà.
Ma anche una storia che ci riguarda, come Brescia, come sindacato, come Cisl che per diversi anni accolse quattro esuli, dando loro casa, lavoro e sostegno. L’abbiamo scoperta poco a poco questa storia e mentre la portavamo alla luce io ho provato un senso di profonda gratitudine per chi l’ha vissuta, per come nella necessità di quel momento storico sono stati declinati nella concretezza i valori della Cisl”.
A raccontarla sono stati Flavia Castrezzati ed Armando Scotuzzi (a destra nella foto accanto al titolo, assieme all’autore del docufilm). La prima ha raccontato di come la sua famiglia si attrezzò per dare aiuto ai primi arrivati, il secondo, allora trentenne operatore della Fim Cisl provinciale contestualizzando la vicenda. Ecco il testo del suo intervento.
Il boicottaggio economico contro Pinochet
Nel 1973 avevo 31 anni e lavoravo alla TLM di Villa Carcina. In quella fabbrica (che ora non c’è più) si lavoravano i metalli non ferrosi. In primis il rame e i suoi derivati. Ero delegato sindacale nel consiglio di fabbrica e membro del direttivo provinciale dei metalmeccanici della Cisl.
Da dove veniva il rame? La maggior parte dal Cile. Dal Cile che prima era di Salvador Alliende ed ora era del generale Augusto Pinochet. Se ne parlava nel sindacato e se ne parlava nei partiti. Però sembrava una cosa lontana.
Un giorno mi chiamò il segretario generale della Fim Cisl, Franco Castrezzati. Nel Suo ufficio mi vennero presentati quattro signori o “companeros” di chiara fisionomia sudamericana . Il più alto, il leader del gruppo, si chiamava Hector Sandoval. Castrezzati mi disse che erano esuli Cileni. Sfuggiti alla persecuzione del generale Pinochet e delle sue terribili milizie. Mi disse che molti loro “compagni erano andati a ingrossare le file dei cosiddetti “desaparesidos”, persone sparite nel nulla, molti di questi dopo torture indicibili. Non venivano restituiti alle famiglie neanche da morti: venivano buttati dai C 130 Cileno-Americani direttamente nell’oceano Pacifico in modo che non potessero raccontare più niente a nessuno.
Il coordinatore nazionale della Fim Cisl che curava l’estradizione e il collocamento degli esuli, soprattutto al Nord Italia, era il segretario nazionale Alberto Tridente (classe 1932 e morto nel 2012) un piemontese di Venaria molto attivo.
Con il favore di Cgil Cisl Uil si decise il “boicottaggio del rame” cileno. In pratica, i portuali di Genova si dovevano rifiutare di scaricare le navi, e nelle fabbriche dove comunque riusciva ad arrivare il rame, gli operai si dovevano rifiutare di lavorarlo. Non fu un’impresa facile. Ci vollero tante assemblee. Perché gli operai facevano fatica a capire il nesso fra non lavorare il rame cileno e il rischio di andare in cassa integrazione. Ma anche faticavano a capire la necessità di preferire il rame del Sud Africa, ai tempi campione di Apartheid.
Ecco che allora avere presente in assemblea un rifugiato e un perseguitato del regime di Pinochet, rendeva più evidente il sacrificio che si chiedeva agli operai.
A me Castrezzati affidò un certo Jorge Garcia Moreno. Il nome era, per ovvi motivi di sicurezza, uno pseudonimo. Con lui non solo feci tante assemblee, ma diventò anche un ospite fisso per il pasto del mezzogiorno a casa mia. Cosi, anche mia moglie che cucinava e le mie due piccole bambine, con molta allegria impararono un poco di spagnolo.
Dopo diversi mesi questi esuli cileni, facendo giri strani per gli Stati Uniti, per l’Honduras e forse altri paesi ritornarono in Cile. Chi ancora in clandestinità, chi ad organizzare un poco di resistenza. Si venne a sapere molto più tardi che uno o due di questi resistenti passati da Brescia furono incarcerati e uccisi dalle milizie di Pinochet.
La storia della resistenza Cilena insegna, come ebbe a dire amaramente Enrico Berlinguer, che non è sufficiente vincere democraticamente nelle urne per poter governare un popolo. Ma bisogna avere dentro il Paese e a livello internazionale l’appoggio e il sostegno di altre forze popolari . Perché altrimenti la “reazione reazionaria” è assicurata.
Armando Scotuzzi