E’ dedicata alla Festa dei Lavoratori l’apertura del nuovo numero del settimanale “La Voce del Popolo” (QUI il pdf), con un’intervista ad Alberto Pluda, segretario generale di Cisl Brescia, che il giornale titola così: “Mettere al centro il diritto al lavoro”.
Il giornale richiama in apertura i passaggi di un recente documento della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro che ha sottolineato l’aggravamento delle diseguaglianze esistenti, delle nuove povertà create dalla pandemia e la necessità “di abitare la tensione tra la paura di perdere quello che si era e un rinnovato impegno verso nuovi stili di vita.
Pluda, qual è la nuova stagione economico-sociale che anche il sindacato è chiamato ad abitare?
Sicuramente quella che dovrà vedere un impegno comune e condiviso di tutti per portare il Paese fuori dalle secche in cui è stato trascinato dall’emergenza sanitaria, uno sforzo che ha proprio nel lavoro uno snodo fondamentale. Dopo una crisi che è stata prima sanitaria e poi anche sociale e occupazionale la ripartenza del Paese deve passare necessariamente per il lavoro, non solo nella sua dimensione economica, ma anche come aspetto essenziale della vita delle persone. L’Italia sta vivendo ancora sotto anestesia: con il blocco dei licenziamenti e con la cassa integrazione è stato possibile evitare al Paese tensioni e scoppio di rabbia sociale. Prima o poi, però, l’effetto anestetico svanirà e gli effetti potrebbero essere dolorosi. Quello che ci spaventa è la crescita del numero delle persone che si trova in condizioni di bisogno: la povertà sta avanzando generando sempre nuova disuguaglianza sociale. Dobbiamo ripartire da questa fotografia preoccupante e impietosa, ma occorre farlo tutti insieme, con il coinvolgimento del governo, delle parti sociali, delle imprese per rimettere in moto l’Italia. È questa la nuova stagione che siamo chiamati ad abitare.
Cosa significa declinare l’appello nella realtà bresciana?
Occorre innanzitutto non fermarsi a una lettura superficiale, tutto sommato incoraggiante, dei dati dell’economia reale. Fianco a fianco alle aziende più grandi che, dotate di maggiore capacità di resilienza, hanno ripreso a viaggiare, vive nel Bresciano l’universo delle imprese piccole e piccolissime che, invece, sta ancora soffrendo, così come il settore dei servizi (accoglienza, ristorazione, etc.), del piccolo commercio, dello sport. Sono situazioni che portano con sé anche criticità occupazionali. Essere protagonisti anche a Brescia della nuova stagione economico-sociale figlia della pandemia, chiede di mettere al centro delle nostre riflessioni un dibattito non più eludibile: dobbiamo difendere il lavoro nella sua dimensione reddituale o come diritto sancito anche dalla Costituzione? Come Cisl riteniamo prioritario il secondo aspetto e, alla luce di tutto questo, ripartire dalle politiche attive del lavoro. Se si vuole evitare che dopo la fine del blocco dei licenziamenti anche il nostro sistema venga travolto da uno tsunami è necessario ragionare anche da noi sulle politiche attive del lavoro, coinvolgendo tutte le realtà che su questo terreno hanno voce in capitolo.
La storia ha insegnato che quando il lavoro manca le misure adottate per garantirlo non sempre sono state rispettose della dignità della persona. Porre al centro il tema delle politiche attive del lavoro può mettere al riparo da questo rischio?
È la storia a insegnarci che in una situazione emergenziale si finisce per accettare tutto, abbassando così il livello della tutela e dei diritti. Per questo serve uno sforzo condiviso sul tema delle politiche attive del lavoro, affrontato da una cabina di regia in cui siano presenti non solo le istituzioni, ma anche le parti sociali, espressione del mondo economico e produttivo che fa viaggiare il sistema Brescia e che sanno leggere i reali bisogni dei territori.
Per chiudere: l’anno della pandemia comporterà anche un cambiamento nel modo di fare sindacato?
Sì, credo proprio di sì. Tutti siamo cambiati, così come sono mutate anche le modalità del lavoro, a partire dal sempre più massiccio ricorso allo smart working che resterà anche quando l’emergenza sarà superata. Il salto di qualità che dovremo fare sarà quello di abbandonare un modello di rivendicazione essenzialmente quantitativo a vantaggio di uno qualitativo, entrando nel merito della bontà e della sostenibilità delle iniziative e delle azioni che si intendono mettere in campo.
intervista di Massimo Venturelli