La Cisl non esclude la mobilitazione per cambiare la Legge di stabilità
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La Cisl non esclude la mobilitazione per cambiare la Legge di stabilità

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Pubblicato il 17 Ottobre 2013

Se il testo della legge di Stabilità che verrà approvato dal Parlamento non accoglierà i rilievi dei sindacati, non è da escludere l’ipotesi di una mobilitazione. Il Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, lo ha detto questa mattina in varie interviste.

Letta ci ha detto che c’è un secondo round in Parlamento e con le parti sociali. Vedremo cosa succede. La mia cautela deriva dal vedere cosa possiamo trarne, non dimenticando che fino a poco fa si parlava di default”. Per ora, ribadisce, ”non si è fatta chiarezza su costi standard e non si è voluto tagliare quei grumi economici e politici che sfruttano la spesa pubblica” sottolineando invece come nel pubblico impiego si ”siano persi 350 mila posti negli ultimi 5 anni”. Equo invece, secondo Bonanni, il blocco della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici sopra i 3 mila euro lordi, previsto dalla legge di Stabilità. “Una soluzione abbastanza equa” perchè gli assegni sopra tale soglia “sono comunque un reddito di garanzia”.

I numeri non traggano in inganno: la legge di Stabilità per il 2014 vale più o meno quel che doveva, 11,5 miliardi. Ad uscire ridimensionata è l’entità degli sgravi sul lavoro che avrebbe dovuto contenere. Nel triennio il cosiddetto “cuneo fiscale” che pesa su famiglie e imprese verrà complessivamente ridotto di 10 miliardi, l’anno prossimo solo per 2,5, la metà del previsto. Ai lavoratori dipendenti nel 2014 andranno 1,5 miliardi, cifra con la quale finanziare un microaumento delle detrazioni per carichi familiari. Letta si dice comunque “soddisfatto” e che la manovra è nella “giusta direzione dello sviluppo e della crescita”.

Sulla riduzione delle tasse un segnale ancora troppo debole, alla fine ha vinto il partito della spesa pubblica improduttiva e intoccabile”. Così, in sintesi, il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a Repubblica Tv. “Veniamo da anni in cui ci hanno caricato di tasse e balzelli – ha detto Bonanni -. Nella manovra del governo c’è ora una inversione di tendenza sul fisco. Ma è ancora un segnale troppo debole. I lavoratori ed i pensionati giustamente vogliono di più”. “O si sconfigge il partito della spesa pubblica improduttiva o noi le tasse non le abbasseremo mai”, ha sottolineato Bonanni. “Ogni volta che si tratta di discutere di tagliare le inefficienze, gli sprechi, le consulenze inutili, le poltrone politiche di enti inutili e le tante ruberie salta il banco. Anche questa volta è accaduto tutto questo – ha aggiunto – Ha vinto il partito della spesa pubblica intoccabile”.

Per finanziare riduzioni più consistenti alle tasse che pesano sul lavoro dipendente (al ministero del Lavoro avevano calcolato un bonus fino a 250 euro) c’era bisogno di forti tagli di spesa. Nel mirino era finita la sanità, che con i suoi 110 miliardi l’anno resta la voce più importante del bilancio pubblico dopo le pensioni. Ma Beatrice Lorenzin, sostenuta dalle Regioni, ha fatto le barricate e ha vinto. Il Tesoro aveva preparato per il 2014 tagli per tre miliardi, ora si è deciso di lasciare la spesa invariata. Per il momento ci teniamo un sistema grazie al quale la stessa siringa, a seconda di dove la compri, può costare allo Stato fra i 65 centesimi e i due euro. Tagli di spesa l’anno prossimo ce ne saranno comunque per 3,5 miliardi, 2,5 dei quali alla spesa dei ministeri, un miliardo a quella delle Regioni.

Il premier dice che “non ci sono nuove tasse”, ma omette di spiegare che si riferisce alle famiglie. Anche questa volta a prevalere nella composizione della manovra sarà infatti la voce entrate (4,6 miliardi), che colpirà anzitutto banche e attività finanziarie. Aumentano l’aliquota di bollo per le attività finanziarie (900 milioni), verrà rivisto il trattamento delle perdite delle banche (2,2 miliardi), altri 500 milioni arriveranno a gennaio 2014 con la riduzione di alcune agevolazioni fiscali.

Si dirà: i tagli evitati dalla Lorenzin sono lineari, quel tipo di riduzione di spesa che colpiscono in maniera indiscriminata perché non mirati. Ma di spending review si parla da anni e ancora non si vedono risultati tangibili. Il ministro del Tesoro Saccomanni ha ricordato che la recente assunzione di Carlo Cottarelli dal Fondo monetario internazionale (contratto triennale e uno staff a disposizione) serve a dare continuità a quel lavoro. Letta promette per il futuro più risorse per gli sgravi grazie alla firma dell’accordo italo-svizzero sul rientro dei capitali. Ma della questione di parla dai tempi di Tremonti e finora non si è combinato nulla. Letta ammette il ritardo nella definizione dei tagli e pur senza citarlo punta il dito contro Berlusconi: “Il lavoro di definizione di questa manovra non è stato semplicissimo, perché siamo stati lungamente presi da altre questioni. Il secondo tempo sarà in Parlamento”. Per sperare che la manovra esca dalle Camere meglio di come ci è entrata occorre essere ottimisti. In ogni caso, nelle intenzioni del governo la distribuzione dei 2,5 miliardi di sgravi a famiglie e imprese dovrà essere definita da deputati e senatori.

Più che una legge di Stabilità – novità introdotta nel 2010 nella speranza di ridurre la discrezionalità delle Camere – quella di quest’anno assomiglia ad una Finanziaria vecchio stile. Dalle chiare e ordinatissime slide distribuite dallo staff di Palazzo Chigi si capisce che Letta vuole evitare di finire nel tritacarne dei partiti. Nel menù della manovra per il 2014 c’è già tutto quel che si possono aspettare: i soliti fondi per gli autotrasportatori (330 milioni), per «università e policlinici privati» (230 milioni), i “lavoratori socialmente utili” (100 milioni) le missioni internazionali (850 milioni) e via finanziando. Di spese così nel 2014 ne sono previste per 3,9 miliardi. Altri 2,5 saranno destinati a investimenti: 700 milioni per la rete ferroviaria, 240 per l’Anas, 200 andranno al Mose. Un miliardo (e non più due) verrà destinato agli investimenti dei Comuni, altri 500 milioni al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.

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