Col 21 settembre la malattia di Alzheimer compie cento anni dalla sua scoperta. Le commemorazioni che si compiono o le varie iniziative promosse in questi giorni sono importanti nella misura in cui contribuiscono a diffondere conoscenza e ulteriore consapevolezza sulla malattia, sulle cause che in parte la favoriscono, sugli effetti devastanti e sulla sofferenza che essa produce alle persone colpite e alle loro famiglie, e per gli impegni da attivare nell’ambito della ricerca per diffondere speranza piuttosto che paura e rassegnazione.
Nel corso degli ultimi 15-20 anni si sono compiuti importanti passi avanti e gran parte del merito va riconosciuto alle famiglie dei malati che hanno saputo svolgere una pressione costante e positiva nei confronti delle istituzioni. Alcune istituzioni, infatti, soprattutto nel Nord Italia e a Brescia, hanno compiuto scelte concrete nella predisposizione di servizi e di aiuti -certamente ancora insufficienti- a favore delle famiglie che assumono un carico assistenziale ed economico pesantissimo, spesso più forte della loro capacità di sostenerlo, in assenza di interventi economici e di servizi. Tra i servizi pubblici necessari il sindacalismo dei pensionati segnala la necessità di potenziare i nuclei alzheimer per coloro che non sono assistibili a domicilio nell’ambito delle strutture integrate, i centri diurni, i centri notturni, l’assistenza domiciliare, i giardini alzheimer. Guardiamo con interesse ai caffè alzheimer, promossi in alcune città, ancora troppo rari ma utilissimi per favorire l’incontro, la relazione, il sollievo per i malati e per coloro che li assistono.
Significativi passi avanti ha compiuto la scienza, pur nella ristrettezza delle risorse assegnate alla ricerca, cosicchè oggi è possibile, grazie a tecnologie sanitarie avanzate, giungere ad una diagnosi precoce, fondamentale per ritardare, con cure farmacologiche specifiche, il processo di avanzamento. La diagnosi precoce, si compie infatti se le persone sono informate sui sintomi subdoli dell’inizio malattia, che spesso possono confondere sia i familiari che lo stesso medico curante -che la può scambiare per demenza senile- e se le tecnologie necessarie alla diagnosi sono disponibili e diffuse. Ogni e qualsiasi ritardo nella diagnosi della malattia, produce effetti drammatici e anticipi di sofferenza, di costi, di carichi assistenziali. Va poi riconosciuto e apprezzato il progresso nel campo farmacologico che, se pur non porta alla rimozione della causa e quindi alla guarigione, riduce comunque la sofferenza migliorando alcuni sintomi cognitivi e compartimentali.
In Italia, i malati di alzheimer sarebbero, per alcune fonti cinquecentomila, per altre settecentomila. Nel mondo sarebbero 24,3 ml. con una progressione di 4,6 ml. di nuovi casi l’anno. La cultura medica, impostata più sulla fase acuta della malattia e sulla sua guarigione è ancora inadeguata rispetto alla gestione della cronicità la cui durata va dagli 8 ai dieci anni dal momento della diagnosi. Il prendersi cura, pur nella certezza dell’insuccesso, non deve però frustrare il medico curante, ma motivarlo ulteriormente alla comprensione della sofferenza del malato in questo lungo periodo di cronicità. La migliore alleanza terapeutica necessaria si realizza creando un ambiente favorevole, nella stretta collaborazione tra medico, paziente e famiglia.
La mortalità causata dalla malattia è in aumento, passando essa da meno dell’1 per mille nei primi anni 80 ad oltre il 10 per mille nel 2000. Tale dato di crescita, non trova eguali per nessun’altra patologia ed occupa l’ottava causa di morte nella popolazione ultra sessantacinquenne.
Gli elementi di preoccupazione del sindacato dei pensionati, in relazione a questa grave patologia, attengono alla ristrettezza delle risorse assegnate alla ricerca, alla sanità e all’assistenza che incidono anche sul contenimento delle cure riservate agli anziani “dementi”. L’impegno, invece, va in più direzioni: informare stimolando a prevenire la comparsa delle patologie senili. Per l’alzheimer è infatti accertato che chi conduce una vita attiva della mente e del corpo è meno predestinato al suo svilupparsi in età ancora giovane. Vanno quindi attivate da parte delle istituzioni, con l’impegno individuale e collettivo dei cittadini, tutte le possibilità tese a favorire formazione permanente, attività fisica e relazioni sociali, combattendo isolamento e inattività. Inoltre, va mantenuta ed accentuata l’attenzione e la pressione affinché in sanità e nel sociale non si riducano le risorse e si realizzino i servizi necessari. L’approvazione della legge di solidarietà per la non autosufficienza e la costituzione del relativo fondo, rappresentano una scelta strategica che i sindacati dei pensionati stanno proponendo al legislatore. È una direzione di marcia che deve trovare concretezza già nella prossima legge finanziaria. È un obiettivo fra i più urgenti tra quelli che abbiamo selezionato.
La Segreteria Pensionati CISL