“Tutti i marchi, europei e italiani compresi, firmino l’accordo per la sicurezza del lavoro in Bangladesh e in Pakistan”. Deborah Lucchetti, attivista della “campagna abiti puliti” ha lanciato l’appello nel corso del convegno promosso nei giorni scorsi da Cgil Cisl Uil per il decimo anniversario del crollo in Bangladesh – era il 24 aprile 2013 – degli otto piani della fabbrica tessile Rana Plaza che causò la morte di 1.138 lavoratori e il ferimento di altri 2.500. Quella fabbrica, come tanti altri stabilimenti tessili in Asia, riforniva i principali marchi della moda occidentali.
“Mai più Rana Plaza” è il titolo dato al convegno dalle organizzazioni sindacali, per capire cosa è cambiato a dieci anni da quell’immane tragedia avvenuta per la mancanza di misure di sicurezza e per una organizzazione del lavoro in nulla dissimile allo sfruttamento, e indagare l’efficacia dell’Accordo Internazionale che ne seguì con l’impegno a investire sulla salute e sulla sicurezza nella catena di forniture globali e sugli strumenti per garantirla a livello nazionale e internazionale.
Progressi ce ne sono stati, ma c’è ancora molta strada da fare. A dieci anni dal crollo del Rana Plaza ci sono ancora grandi marchi internazionali – come Levi’s, Ikea e Amazon, tanto per non fare nomi – che si sono rifiutati di sottoscrivere l’accordo internazionale per la sicurezza dei lavoratori in Bangladesh e Pakistan.
QUI il video del convegno sindacale