Formazione e (ri)qualificazione per il futuro del lavoro  – 1
TORNA INDIETRO

Formazione e (ri)qualificazione per il futuro del lavoro – 1

Confronto a più voci sulle politiche attive per un cambio di prospettiva del mercato del lavoro

3 min per leggere questo articolo

Pubblicato il 11 Maggio 2022

Per una volta non sono i finanziamenti a mancare. Con “GOL – Garanzia di occupabilità dei lavoratori”, misura varata dal Governo – in Lombardia arriveranno 101 milioni di euro per l’attivazione di percorsi di accompagnamento al reinserimento nel mondo del lavoro di disoccupati, lavoratori in cassa integrazione straordinaria, percettori di Naspi o di Reddito di cittadinanza.

“L’impegno che ci assegna il finanziamento è quello di raggiungere nella nostra Regione 69mila persone senza occupazione, 13mila nel Bresciano – ha detto questa mattina l’assessore alla Formazione e al Lavoro di Regione Lombardia, Melania Rizzoli, intervenendo al convegno promosso dalla Cisl bresciana sulle politiche attive per il lavoro – ed entro la fine dell’anno 18mila dovranno essere in formazione e 7mila, nello specifico, in percorsi per il rafforzamento delle competenze digitali. Una sfida impegnativa, che preoccupa soprattutto per le tempistiche”.

Ma allora, se non sono i soldi il problema, perché le politiche attive per il lavoro non hanno, nei fatti, la centralità che sempre viene loro assegnata a parole?

Con l’assessore Rizzoli, hanno provato a rispondere al quesito e a ragionare sul tema nel suo complesso l’editorialista del Corriere della Sera Dario Di Vico, il presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi, il presidente di IAL Lombardia Matteo Berlanda, il professore di Diritto del lavoro Maurizio Del Conte e Paolo Reboni della Segreteria provinciale della Cisl

“Le politiche attive non decollano perché la testa di troppi attori sociali è ancora ancorata agli ammortizzatori sociali” ha detto Reboni, senza dimenticare che “manca una infrastruttura organicamente dedicata all’incontro tra domanda e offerta di lavoro”, ha aggiunto Francesco Seghezzi, presidente di Adapt.

“Continuare a pensare al mercato del lavoro a dimensione locale – ha affermato provocatoriamente Del Conte – è un anacronismo. Bisognerebbe cominciare a pensare politiche attive europee e prendere ad esempio quelle che funzionano meglio, come in Germania e in Francia. Nel nostro Paese abbiamo bisogno di pensare servizi in un sistema a rete, che è diverso dal fare la somma dei nodi della rete; occorre una governance delle politiche attive che stabilisca con chiarezza chi fa cosa, superando la logica delle bandierine e dei campanili”.

Berlanda ha ricordato invece che le “politiche attive sono un insieme di tante cose, diverse e da integrare. Al di là degli aspetti tecnici, che sono assolutamente rilevanti, non bisogna dimenticare che le politiche attive sono efficaci, hanno successo, hanno senso se non dimenticano la dimensione del desiderio della persona da aiutare: chi vuoi essere, che cosa vuoi fare nella tua vita? Dimenticarsene significa creare le condizioni per cui il passaggio nel mercato del lavoro è funzionale all’ente formativo ma non per la persona che poi magari, purtroppo, rientra nella stessa condizione di bisogno in cui si trovava precedentemente”.

 

Il quadro statistico 

A tratteggiare lo scenario di riferimento del mercato del lavoro è stato Elio Montanari, ricercatore che da tempo collabora con il mondo sindacale bresciano nella elaborazione dei dati di statistica economica e sociale.

Nel Bresciano gli occupati sono 542mila (59,5% maschi), 11mila in meno rispetto al dato pre pandemia. L’80,2% degli occupati sono lavoratori dipendenti, “smentendo – ha detto Montanari – la narrazione sul trionfo del lavoro indipendente che ha accompagnato i nostri ultimi decenni”. 28mila sono i bresciani disoccupati in cerca di lavoro. Il tasso di occupazione della popolazione in età lavorativa è del 65,7%, in linea con la media regionale. Ma mentre il tasso di occupazione maschile è del 76,8%, tre punti percentuali sopra la media regionale, quello femminile è del 54,2%, cinque punti percentuali (per la precisione 5,3%) sotto la media lombarda. “Un dato che conferma che a pagare più duramente la crisi occupazionale causata dal freno all’economia e alla produzione rappresentato dalla pandemia sono state soprattutto le donne.

“Stando ai numeri, quello Bresciano è un mercato del lavoro in grande movimento – ha aggiunto il ricercatore – le pratiche di avviamento al lavoro nel 2021 sono state 215mila riferite a 161mila persone, un numero maggiore non solo del 2020 ma manche del 2019 e del 2018. Tre avvii su dieci hanno riguardato lavoratori stranieri”

Per quanto riguarda i livelli di istruzione delle persone tra i 24 e i 49 anni, Brescia mostra un gap formativo molto serio: i laureati in provincia di Brescia sono il 14,3% (sono il 19,7% in Lombardia, e il 26,7% in provincia di Milano); a Brescia i lavoratori che hanno interrotto gli studi dopo la terza media sono il 31,4% (il Lombardia sono il 25%, nella provincia di Milano il 20%).

 

1 continua