La drammatica realtà di sfruttamento e di violazione della dignità della persona prima ancora che dei diritti dei lavoratori che sta dietro la tragedia di Prato – sono sette le vittime dell’incendio divampato all’alba di domenica nella fabbrica tessile gestita da cinesi in cui lavoravano e vivevano in condizioni difficilissime decine di immigrati – è la stessa di tanti laboratori nascosti anche nel bresciano.
Lo dicono le cronache di questi ultimi anni, lo confermano i componenti della Segreteria provinciale della Femca Cisl di Brescia, il sindacato del settore tessile, interpellati da un cronista del Giornale di Brescia. “Che ci siano laboratori cinesi irregolari nel bresciano è pressoché una sicurezza, alla quale però non c’è molto da aggiungere”, ha dichiarato al giornale il Segretario generale della Femca Beppe Marchi: “Noi, per esempio, di esperienze dirette non ne abbiamo mai avute. È un ambiente impenetrabile. Le uniche vertenze di cui ci stiamo occupando sollecitate da lavoratori di etnia cinese sono nei confronti di imprenditori italiani”. Da qui la necessità, per tutti, di non tacere, di non fare finta di non vedere.
Laboratori anche a Brescia, ma nascosti come ovunque
“Chinatown made in Prato” è il titolo di un’inchiesta realizzata e messa in onda dalla televisione della Cisl, Labor Tv, nel dicembre del 2009: immagini, interviste, testimonianze che già quattro anni fa prefiguravano non solo i risvolti economici di un fenomeno che ha messo in crisi un intero distretto, ma anche i problemi di un rapporto mai nato con una comunità chiusa ad ogni forma di integrazione.
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