Conto alla rovescia sulle misure anti-crisi messe a punto dal nuovo Governo. Oggi il Presidente del Consiglio incontrerà i leader dei partiti; domani mattina vedrà le parti sociali e i Presidenti di Regione. Lunedì mattina il Consiglio dei Ministri approverà il Decreto e subito dopo Mario Monti lo illustrerà in Parlamento. Tempi strettissimi che sembrano impedire ogni possibilità di confronto e di trattativa. Le organizzazioni sindacali manifestano preoccupazione e dubbi sul metodo scelto dal Governo per il varo di provvedimenti che avrebbero avuto bisogno di un confronto vero.
Con estrema efficacia, il punto sulla situazione lo fa Massimo Mascini nell’editoriale de ildiariodellavoro.it partendo dalla fotografia della situazione italiana che emerege dal 45° Rapporto Censis.
Il Censis promuove il ruolo delle rappresentanze, ma Monti non sembra convinto
Come uscire dalla “stanchezza collettiva”, dall'”inerte fatalismo””, in cui ci dibattiamo, che anche quest’anno ci ha descritto con grande presenza il Censis? Come possiamo ribellarci al declino e, pericolo ancor più grave, al declinismo, all’accettazione supina di un moto che tende a escluderci, a marginalizzarci? Le ricette possono essere le più diverse. Il paese ha scelto il tecnicismo, il governo di Mario Monti e dei suoi ministri tecnici, che stanno per darci la loro cura, che tutti speriamo sia davvero efficiente, e che tutti temiamo abbia costi sociali difficilissimi da sopportare. Gli italiani non si tirano indietro, tutt’altro, sono pronti anche questa volta a fare la loro parte, costi quel che costi. Vorrebbero qualche garanzia.
Il Censis dà qualche buon consiglio. Per esempio, quello di non rinnegare, ma anzi valorizzare le nostre radici. Siamo un paese forte, capace, con dei problemi, per lo più contingenti, ma non dobbiamo ripartire da zero, tutt’altro. I punti di forza dell’economia reale possono indicarci la via, possono dare il senso della marcia da seguire per tornare a essere forti. Ancora, quello di tesorizzare la spinta di socializzazione che si è manifestata nel paese e cresce ancora con entusiasmo. Soprattutto, quello di difendere le rappresentanze. Se quella politica, è sotto gli occhi di tutti, è pesantemente e dichiaratamente in crisi, quella sociale è al contrario forte e vitale. Ha i suoi acciacchi, come negarli, ma resta ancora una forza viva del paese, che può dare tanto e che non va assolutamente messa da parte.
Per questo ha stupito la presa di posizione del premier, che ha mostrato almeno indifferenza nei confronti delle rappresentanze sociali, annunciando che non le avrebbe messe a parte delle decisioni di politica economica. Una presa di posizione parzialmente corretta dalla convocazione di domenica 4 dicembre, alla vigilia del varo della manovra. Resta pero’ il punto centrale, e cioe’ quale ruolo il governo affidera’ alle parti sociali. L’atteggiamento del premier ha stupito perché quelle rappresentanze esprimono sì interessi di parte, ma sono questi interessi ad essere l’ossatura portante del paese, ma soprattutto queste parti sociali hanno mostrato di saper esprimere in momenti topici del nostro passato anche interessi collettivi generali.
Non si tratta di decidere se la concertazione rappresenti un bene o un male, se si deve tornare alle defatiganti trattative a Palazzo Chigi degli anni (o decenni?) passati. Si tratta di saper dare un peso reale a forze intermedie che proprio per questa loro caratteristica di essere ponte tra il paese reale e le istituzioni, possono costituire uno strumento di governo utile e concreto. Poi si deciderà che peso dare alle indicazioni che da queste parti vengono, ma dare loro ascolto sembra un’opportunità, non certo un prezzo politico da pagare. Un governo tecnico proprio per questo ha il dovere di ascoltare queste voci che gli parlano dei bisogni, delle attese, delle speranze del paese reale.