Questa mattina in Piazza della Loggia a Brescia, Cgil Cisl e Uil, assieme alle Istituzioni e all’Associazione delle vittime, hanno ricordato la strage che trentaquattro anni fa uccise otto persone e ne ferì oltre cento. Come ogni anno la stele che sul luogo dello scoppio ricorda quel tragico episodio è stata mèta ininterrotta dell’omaggio dei bresciani, di gruppi di operai, di impiegati, di pensionati, di associazioni e gruppi.
A metà mattina, in una piazza ormai gremita, ha preso la parola a nome dell’Associazione familiari delle vittime di Piazza Loggia Alfredo Bazoli, che nell’attentato perse la madre, e una studentessa delle scuole superiori bresciane, Stefania Sora. L’oratore ufficiale della manifestazione è stato Giorgio Santini, Segretario confederale della Cisl. Ecco il testo integrale del suo intervento.
Non c’è separazione finché esiste il ricordo, la memoria. Così recita un antico epigramma funebre. Dopo tanti anni le parole sulla strage di Brescia del 28 maggio 1974 rischiano di perdere, al di là delle intenzioni, la loro forza, la loro efficacia. Per questo più che le nostre parole conta, oggi, la presenza, compatta e cosciente in questa Piazza, esattamente come quel giorno, con l’intento preciso e determinato di non dimenticare.
Non dimenticare chi non è più tra noi, chi quel giorno, in un attimo, ha perso la vita:
Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Vittorio Zambarda.
Il nostro ricordo è testimoniato da una partecipazione viva, cosciente, esigente.
Quella stessa partecipazione che portò migliaia di persone in Piazza quella mattina di 34 anni fa, in una grande manifestazione antifascista per rispondere agli attentati che da settimane si ripetevano nel territorio bresciano. Per affermare quella partecipazione, per affermare le proprie libertà di espressione, otto amici, otto persone, otto compagni di un lungo cammino democratico hanno pagato con la loro vita. Hanno diritto, ora e sempre della nostra memoria riconoscente. Ma dobbiamo anche avere il coraggio di rischiare le parole, di andare oltre il limite che avvertiamo per dare autenticità al nostro dire. Non dobbiamo arrenderci per la sola paura di ripeterci. Non dobbiamo smettere di chiedere giustizia, di esigere la verità. Non deve cessare la nostra indignazione per questo buco nero che attraversa la storia della città di Brescia e di quegli anni carichi di tensione e lutti. Dobbiamo ricordare quello che è accaduto e perché è accaduto!
Lo dobbiamo fare per chi allora c’era come per chi è nato dopo il 1974. Sì, soprattutto per i giovani, come è stato fatto in questi giorni nelle scuole bresciane. Tutto questo riannoda un lungo filo democratico che lega il modo in cui Brescia e i bresciani hanno reagito da subito a quella inaudita violenza e come hanno continuato a farlo in tutti questi 34 anni e come continueranno a farlo nei prossimi.
Questa mattina, in questa piazza, viviamo tutti insieme sentimenti fortemente contrastanti. Rabbia e indignazione perché ancora, dopo 34 anni, mancano giustizia e verità: quante assoluzioni non convincenti, quanti procedimenti interrotti, quanti ritardi, quanti rinvii. Ma anche gratitudine e commozione di fronte alla caparbia,tenace, forte volontà di giustizia di questa città.
Nei giorni scorsi è arrivata la notizia del rinvio a giudizio per gli imputati accusati di concorso nella strage di Piazza della Loggia. In quella notizia si sente tutto il peso del tempo di 34 anni che sembrano passati invano. E poi un’altra annotazione: il processo inizierà tra 6 mesi, il 25 novembre.
Ancora il peso del tempo. Ma anche il bagliore di una speranza di verità, di una speranza di giustizia, che condannando finalmente i colpevoli possa chiudere almeno in parte una ferita che per troppo tempo ha segnato la vita di una città e dei suoi abitanti.
Quante volte in questi anni sono ricomparse ai nostri occhi le tragiche immagini di quella strage: la Piazza, piena di gente nonostante la pioggia; migliaia di lavoratori, lavoratrici, con le bandiere e gli striscioni delle fabbriche e del sindacato; l’oratore di quella manifestazione che condanna gli attentati, le intimidazioni di quei giorni in un clima pesante di attacco alle libertà democratiche, alle speranze di cambiamento sociale, al fatto che il sindacato e con esso i lavoratori diventavano un obiettivo da colpire.
La tragedia è racchiusa in un attimo. Un lungo tragico attimo che dura da 34 anni. Un attimo, uno scoppio sordo e cupo, tremendo.
L’obiettivo era chiaro: terrorizzare con la morte, usare la paura per bloccare tutti quei fermenti di novità politica, sociale e istituzionale che volevano fare dell’Italia un paese socialmente più giusto, con una democrazia avanzata, aperta al futuro, nella libertà e nella solidarietà sociale.
Quella maledetta bomba ha stroncato otto vite umane, i sogni, le aspirazioni di insegnanti, operai e pensionati che assieme manifestavano per fermare il terrorismo, gli attentati, le intimidazioni.
Quella tragedia dura da 34 anni e non finirà fino a quando non ci sarà data giustizia e verità.
Quel terrore si è ripetuto e propagato, colpendo su larga scala, mirando al cuore dello Stato, colpendo uomini delle istituzioni, della magistratura, dell’informazione, del lavoro.
Sconfitto dalla mobilitazione popolare negli anni ’70 è80, il terrorismo è ricomparso, come un fiume carsico, ogni volta che la vita democratica del Paese attraversava delicati momenti politici, sociali ed economici.
Un terrorismo subdolo che ha colpito in modo preciso e spietato, scegliendo con cura le proprie vittime: quella mattina del 1974 scelse di colpire i lavoratori, il movimento sindacale; negli anni ’80 e ’90, e ancora nel 2000, scelse di colpire coloro che mettevano la loro conoscenza e capacità al servizio delle istituzioni democratiche e del mondo del lavoro per trovare soluzione ai tanti problemi, di reddito, di rappresentanza, di lavoro che la società stava vivendo.
Trentaquattro anni fa si cercò di fermare la mobilitazione e la partecipazione democratica; negli anni successivi si sono voluti colpire i costruttori di relazioni, di dialogo, segni di speranza in una società inquieta e tormentata che spesso sembra voler dimenticare la sua storia, sembra voler marginalizzare la centralità del lavoro, la costruzione della coscienza sociale e della solidarietà, una società che sembra voler inseguire falsi miti.
Questo terrorismo, come quello di 34 anni fa, colpisce alle spalle, vigliaccamente, mettendo una bomba in un cestino dei rifiuti oppure sbucando da un angolo oscuro per sparare a tradimento.
Allora, di fronte a quella oscurità del tradimento e dell’aggressione, vogliamo anche oggi, e lo faremo sempre, contrapporre la realtà, la luce della piazza, del partecipare tutti assieme, del tenerci per mano per voler rappresentare tutti. Questa è la strada per ottenere, finalmente, quella verità che finalmente condanni i colpevoli. Questa è la strada per costruire democrazia, tolleranza, accoglienza, senso di comunità.
La piazza è il luogo della comunità, simbolo di incontro, di relazione, di partecipazione. È la risposta giusta, democratica e pacifica alle tante tensioni che attraversano la società nei nostri giorni e che portano a scambiare la giusta esigenza di garantire a tutti i cittadini la sicurezza e l’incolumità fisica con la sciagurata pratica dell’aggressione contro chi è diverso, contro chi lavora da noi ma non parla la nostra lingua, seminando terrore, dando lezioni, distruggendo abitazioni, negozi, campi profughi.
No, questa deriva del terrore, del farsi giustizia da sé non appartiene alla società per cui abbiamo lottato in questi decenni. Non è per questo che sono morti i nostri otto amici quella mattina del 1974 in questa piazza. I nostri valori di riferimento sono sempre la democrazia, la partecipazione, la solidarietà, la tutela dei più deboli, l’aiuto ai bisognosi; senza dimenticare mai che oltre ai diritti ci sono doveri e responsabilità.
E allora, da questo nostro essere qui oggi, dobbiamo trarre tutti insieme più forza e più convinzione, per continuare quel cammino democratico, partecipativo e solidale. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli,a chi quella mattina si è vista spezzare la vita.
Li portiamo con noi nel cuore, nella mente. Per sempre.